Mario Draghi, la nuova sfida

“What ever it takes”, “costi quel che costi”. Sono le parole che hanno fatto la storia quelle che Mario Draghi pronunciò nel 2012 quando l’Europa stava attraversando una drammatica crisi economica con i mercati in fermento e l’Euro sotto attacco. “Nell’ambito del suo mandato, la Bce è pronta a fare tutto ciò che è necessario per preservare l’Euro. E credetemi, sarà abbastanza”, disse allora il presidente della Banca centrale europea. E, ora, bisognerà vedere se con queste stesse parole, Draghi, convocato al Colle domani mattina, affronterà il mandato che il che gli verrà conferito dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella.

Uomo del fare, pragmatico, determinato e concreto: sono le caratteristiche che a Draghi, romano, classe 1947, sono state sempre riconosciute nella sua lunga carriera. Una fama che si guadagna fin dai tempi dell’università, a Roma negli anni Settanta, nella veste di allievo prediletto di Federico Caffè. Borsista del Mediocredito, studia e insegna nei migliori campus Usa e consegue un Ph.d in Economics presso il Massachusetts Institute of Tecnology (Mit). Poi inizia la stagione dell’insegnamento all’’Università di Firenze dal 1981. Approda, negli anni Ottanta, nei grigi corridoi ministeriali nella veste di consigliere economico del ministro del Tesoro Giovanni Goria, che lo designa a rappresentare l’Italia negli organi di gestione della Banca mondiale.

Sono le tante esperienze che lo rendono nel 1991 il candidato ideale per la poltrona di direttore generale del Tesoro, allora incarico poco retribuito e non troppo ambito. Per molti doveva essere una tappa di passaggio in attesa di tempi migliori. E invece Draghi riesce a trasformare quell’incarico in una delle poltrone chiave per l’economia del paese. Negli stessi anni è membro del Comitato Monetario della Cee e del G-7 Deputies, nonché presidente del Comitato di Gestione Sace. Dal ’91 al ’96 è nel Cda Imi e dal ’93 presiede il Comitato per le Privatizzazioni. Dal ’94 al ’98 è presidente del G-10 Deputies. Sempre con grande discrezione, assume il controllo dell’industria e della finanza a partecipazione pubblica in via di privatizzazione e le redini della preparazione dei documenti di politica economica. Passano i ministri e gli schieramenti, con i governi Andreotti, Amato, Ciampi, Berlusconi, Dini, Prodi, D’Alema, ancora Amato e ancora Berlusconi, ma per dieci anni il ‘Direttore’ resta al centro dell’economia e della finanza pubblica.

Sono anni di sfide difficili che, anche grazie alla grande stagione delle privatizzazioni, da Eni a Telecom da Imi a Comit e Bnl, cambiano il profilo economico del Paese e lasciano in eredità al ministero di via XX settembre una forte struttura tecnica e relazioni internazionali consolidate. La centralità di Draghi nel panorama economico italiano è tale che finisce anche al centro delle polemiche. E’ il caso della riunione del ‘Britannia’, con i principali banchieri d’affari inglesi, a portarlo nel mirino di chi lo accusa di voler ‘svendere’ il patrimonio nazionale.

Ma a prevalere, ancora una volta, è ruolo chiave che Draghi svolge guidando un momento particolarmente difficile dell’Italia che, sulla strada verso Eurolandia, vede la lira fuori dallo Sme sotto la pressione di una finanza pubblica alle corde. Ed e’ lui a condurre la difficile trattativa per il rientro della moneta nazionale, passaggio chiave per la successiva ammissione all’euro. Privatizzazioni ma non solo. Il nome di Draghi si lega soprattutto al nuovo testo per la Finanza, che passa alla storia, appunto, come ‘legge Draghi’. Una legge che contiene le nuove regole sull’opa, con l’obbligo di lanciarla per chi acquista oltre il 30% di una società con un prezzo identico per i piccoli e grandi azionisti, che consente al capitalismo italiano di iniziare a confrontarsi con i mercati internazionali. Una legge messa alla prova per la prima volta nel 1999 con la scalata di Roberto Colaninno su Telecom. Una lunga stagione, quella di Draghi al ministero del Tesoro, che si chiude nel 2001 quando il ministro Tremonti chiama a sostituirlo Domenico Siniscalco. Draghi lascia Via XX Settembre e torna ad insegnare negli Stati Uniti. Nel 2002 l’ingresso in Goldman Sachs a Londra di cui ben presto diviene vice presidente per l’Europa.

Il 29 dicembre 2005 diventa il nono governatore della Banca d’Italia. Draghi viene chiamato a sostituire Antonio Fazio, costretto alle dimissioni in seguito allo scandalo di Bancopoli. A causa di questa vicenda la durata dell’incarico conferito a Draghi ha un mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta. Ma il nuovo Governatore vuole subito dare il segno della discontinuità rispetto al predecessore. In un discorso del 2006 dichiara che non sarebbe mai intervenuto per influenzare operazioni di mercato, neanche laddove la legge gliene conferisse facoltà. Intanto, invita il sistema bancario italiano a fusioni e aggregazioni per evitare, date le piccole dimensioni, di venire acquisite da istituti di credito stranieri. Contemporaneamente si batte per la revisione delle regole sui rapporti tra banche e imprese in due direzioni: l’innalzamento dei limiti alle partecipazioni che le banche possono detenere in gruppi industriali e alle partecipazioni nelle banche da parte di soggetti non finanziari.

Nelle sue annuali Considerazioni finali, Draghi incalza sulla necessità di risanare i conti pubblici, riducendo il debito e tagliando la spesa. Insiste sulle riforme strutturali, dalla previdenza al mercato del lavoro, quale chiave di volta per lo sviluppo e la modernizzazione del Paese. Alla guida di Palazzo Koch, Draghi rimane fino al 31 ottobre 2011. Nell’aprile del 2006 viene eletto Presidente del Financial Stability Forum, divenuto Financial Stability Board dalla primavera del 2009. Dal 1° novembre 2011 Draghi assume il timone della Banca centrale europea.

A un mese dal suo insediamento a Francoforte, nell’intervento davanti all’Europarlamento chiede ai Paesi dell’UE di recuperare in affidabilità, dichiarando che serve un segnale forte per i mercati, anche “un cambiamento dei trattati non va escluso” per andare verso una politica di bilancio omogenea. Il 5 agosto 2011, poco prima del suo insediamento, scrive, insieme col presidente uscente della BCE, Jean Claude Trichet, una lettera al governo italiano per sollecitare una serie di misure economiche, che l’Italia avrebbe dovuto al più presto attuare.

Il 26 luglio 2012, in un intervento a Londra, annuncia che la Banca centrale europea farà tutto il possibile (Whatever it takes) per salvare l’Euro. Il 31 dicembre 2012 è stato nominato uomo dell’anno dai quotidiani inglesi Financial Times e The Times, per aver ben gestito la crisi del debito sovrano europeo in un momento molto delicato come l’estate di quell’anno quando la crisi finanziaria stava per contagiare grandi economie, come la spagnola e l’italiana. Nel gennaio 2015 Draghi lancia l’atteso Quantitative easing, con cui la Banca centrale europea acquista titoli di stato dei paesi dell’Eurozona per 60 miliardi di euro fino al settembre 2016. Il 31 ottobre 2019, con il tradizionale rito di passaggio di consegne a Christine Lagarde, termina ufficialmente il suo mandato di presidente della Bce. (Adnkronos)

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