Violenza di genere, Cittadinanzattiva a sostegno del “Protocollo Eva”

Ieri mattina Concetto Trifilò, segretario regionale e legale rappresentante di Cittadinanzattiva Sicilia APS, ha incontrato il Questore di Messina dott. Gennaro Capoluongo. Dopo aver precisato, citando lo Statuto, quali sono gli obiettivi che si prefigge ed il modus operandi dell’Associazione, Trifilò ha colto l’occasione per ringraziarlo per l’impegno con il quale, assieme ai suoi collaboratori, affronta il triste fenomeno della violenza di genere, ed ha sottolineato la validità del Protocollo EVA. Da qui la necessità che venga portato a conoscenza dell’opinione pubblica con le iniziative più opportune che Cittadinanzattiva intende concretizzare dopo essersi confrontata con le Associazioni più rappresentative del mondo femminile. All’incontro ha partecipato anche Pippo Pracanica, past-president di Cittadinanzattiva Sicilia. Valutare il rischio di recidiva nei casi di maltrattamenti e stalking è fondamentale anche da parte delle forze di polizia per la messa in atto di azioni volte a scongiurare la recidiva, e l’escalation di violenza fino al femminicidio. Ecco i dettagli del “Protocollo Eva” Quando la casa non è più il rifugio dove si è al sicuro e le mura domestiche diventano teatro di maltrattamenti ed abusi è fondamentale che il poliziotto, chiamato ad intervenire, agisca in modo professionale ed efficace per tutelare la vittima, adottando, se previsto dalla legge, quei La strategia della Polizia di Stato contro la violenza di genere
La violenza di genere spesso si nutre della stessa angoscia che provoca alle vittime, crea un circolo vizioso in cui l’orrore che non viene raccontato crea altro orrore in un crescendo di sofferenze. Spesso il primo passo è il più difficile: la paura di essere giudicate, la vergogna di denunciare e raccontare dettagli della propria vita intima, il timore di ripercussioni, l’angoscia di rimanere isolate, la sfiducia nelle istituzioni determinano spesso un atteggiamento di rinuncia nella vittima e rendono molto più difficoltoso l’intervento delle forze dell’ordine. La Polizia di Stato, pur non avendo una competenza esclusiva in materia, può vantare un’esperienza ormai consolidata, data dalla presenza delle donne fin dagli Anni ’60, con parità di funzioni rispetto agli uomini ad opera della legge 121/1981, che ha portato ad una crescente sensibilità ed attenzione sull’attività di contrasto e prevenzione della violenza di genere. Questo si è tradotto anzitutto in un adeguamento organizzativo, sia a livello territoriale che centrale. In tutte le province, le strutture della Polizia di Stato impegnate in queste attività all’interno delle questure sono le Divisioni anticrimine, anche mediante gli Uffici minori, che svolgono l’attività di prevenzione e coordinamento delle iniziative a tutela delle fasce vulnerabili e le Squadre mobili, che si occupano delle indagini, anche di quelle svolte dai commissariati di ps. A livello dipartimentale, tutte le articolazioni della Direzione centrale anticrimine – il Servizio centrale operativo, il Servizio centrale anticrimine, il Servizio controllo del territorio, il Servizio polizia scientifica – sono impegnate, in base alle proprie specifiche competenze, nelle attività di indagine, prevenzione, supporto scientifico e coordinamento. L’approccio di sistema ha riguardato poi la formazione dei poliziotti che incontrano le vittime di violenza di genere, le procedure operative, come il protocollo Eva, quelle che stabiliscono le modalità di ascolto protetto, per evitare fenomeni di vittimizzazione e preservare comunque le esigenze investigative, le infrastrutture con stanze e setting d’ascolto dedicati
che vengono allestite via via in un numero crescente in tutte le questure.
Nella consapevolezza, infine, che non è sufficiente agire solo quando il reato si è consumato, ma è necessario intervenire prima attraverso un’incisiva opera di informazione e supporto alla cultura di genere, siamo usciti dai nostri uffici, con il progetto Camper ed equipe multidisciplinari che incontrano quotidianamente ragazze, donne ma anche uomini e che ci hanno consentito spesso di far emergere un dolore sommerso e dare una speranza di nuova vita. Questo oggi è possibile anche grazie al protocollo Eva (Esame Violenze Agite), una procedura che codifica le modalità di intervento nei casi di liti in famiglia e consente di inserire nella banca dati delle forze di polizia (SDI) – indipendentemente dalla proposizione di una denuncia o querela – una serie di informazioni utili a ricostruire tutti gli episodi di violenza domestica che hanno coinvolto un nucleo familiare. La volante, prima di giungere sul posto, è così in grado di conoscere quanti altri interventi dello stesso genere ci siano stati, se qualcuno detiene armi o ha precedenti di polizia. Queste informazioni consentono agli operatori di possedere molti più elementi per gestire al meglio situazioni fortemente conflittuali, nelle quali avranno cura di sentire separatamente la vittima ed il suo aggressore, verificare se i bambini hanno assistito ai fatti ed adottare tutti i provvedimenti necessari. Notizie, dati, dettagli vengono inseriti ed esaminati grazie alla compilazione di check-list che consentono di ricostruire i fatti in modo completo ed accurato. Nato grazie alla collaborazione con il Dipartimento di psicologia dell’Università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e adottato in via sperimentale nel 2014 dalla questura di Milano, dal gennaio del 2017, il protocollo Eva è stato diffuso su tutto il territorio nazionale e in un anno ha consentito di gestire e analizzare più di 5.000 segnalazioni.

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